Vitis Vinifera "Praxoxa niedda"
Sono sempre più numerosi i produttori che, in tempi recenti, hanno scelto di concentrare la loro attività sui vitigni indigeni e desueti vitigni antichi sardi, tra i quali si contano Cannonau, Semidano, Moscato, Monica, Vermentino, Nasco, Nuragus e la Vernaccia di Oristano, Nieddera.
I Sardi coltivano la vite da circa 3200 anni, un altro pezzo infatti si aggiunge al complesso puzzle storico-archeologico ed ora anche eno-gastronomico delle antiche popolazioni Nuragiche. Pare proprio che il popolo sardo di quel periodo conoscesse la vite, la coltivassero e producessero pure del buon vino.
Ciò contrasterebbe fortemente con le teorie tradizionali (ed ormai smentite dalle più moderne ricerche) che vogliono la vite e la viticoltura e l'arte della vinificazione come originarie del Medio Oriente ed importate di lì in Sardegna solo grazie ai Fenici.
Durante gli scavi archeologici che hanno interessato il sito nuragico di ''Sa Osa'', in territorio di Cabras, nella golena del Tirso, sono emersi conservati con cura nel fondo di un pozzo d'epoca Nuragica, bronzo medio, 3200 anni fa, dei reperti alimentari e segnatamente dei semi di uva e di fico riposti, conservati con cura. I primi insediamenti fenici nell'isola si ebbero tra il nono e il settimo secolo a.C., migliaia di anni dopo; questa è un ulteriore conferma di ciò che già altre ricerche avevano detto in passato.
Analizzare i semi degli acini d'uva ci può svelare qualche altro segreto. «La morfologia dei vinaccioli (presso il nuraghe di Villanovaforru, ndr) ci dice che si tratta di una vite tra selvatica e coltivata, il che significa che comunque è un vitigno locale» (Philippe Marinval, ricercatore francese). Per la precisione si tratterebbe di Cannonau, il vino più antico del Mediterraneo.
«Due laboratori enologici in eccezionale stato di conservazione, con vasche per la pigiatura, bacili, basi e contrappesi dei torchi, nonché recipienti di vario uso, in ceramica e vetro erano presenti nei livelli di riutilizzazione degli spazi in Età romana nel grande complesso del Nuraghe Arrubiu di Orroli». Lo scavo ha permesso di recuperare anche una certa quantità di vinaccioli carbonizzati, rivelatisi appartenenti a un vitigno ancora coltivato nell'Isola, denominato a seconda delle diverse località «Bovale sardo» o «Muristellu».
Questo acquarello su carta ritrae due grappoli d'uva che apparterrebbero ad un vitigno autoctono sardo che è conosciuto nel campidanese col nome di "Praxoxa niedda".Tradotto significherebbe "uva nera", ma la sua particolarità sta nella antica tradizione di consumare quest'uva dagli acini nerissimi e dolcissimi. Nel secolo scorso si coglieva tardivamente nel periodo di Natale e veniva consumata durante le feste. Ancora non ho raccolto soddisfacenti informazioni su quest'uva tanto conosciuta dai nostri nonni, ma invito chiunque voglia contribuire ad ampliare la sua scheda botanica. Lisa Usai
Etichette: Costa sud-occidentale della Sardegna
1 Commenti:
Chissà che bontà questa praxoxa niedda...=)
giovedì 4 febbraio 2010 alle ore 22:58:00 GMT
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